A volte la fuga diventa una consuetudine, perché ci permette di allontanarci da noi stessi.
E, a volte, ci allontaniamo così tanto che finiamo per fuggire anche dalla felicità.
Condizione che meglio non potrebbe essere descritta dalle parole della protagonista di “A private war” (2018), che racconta la vera storia della giornalista di guerra Marie Colvin, rimasta uccisa nel 2012 durante un attacco missilistico in Siria:
“Vuoi della psicologia spicciola? Va bene. Ecco io ammiravo molto mio padre, mi sono tormentata quando è morto perché non ha mai accettato il fatto che potessi avere delle mie opinioni. Amo mia madre, ma sono in conflitto con lei perché non potrei mai essere la classica casalinga con una vita tranquilla del cazzo. Faccio diete molto rigide perché non voglio ingrassare, ma ho anche visto molte persone nel mondo soffrire di fame, quindi mi piace mangiare. Io vorrei diventare madre come mia sorella, ma non ci riesco, ho già avuto due aborti spontanei. E io ormai mi devo rassegnare. Ho paura di diventare vecchia, ma ho anche paura di morire giovane. Sono felice quando ho un Vodka Martini in mano, però non sopporto il fatto che le voci nella mia testa non si fermino finché non mi sono scolata un’intera bottiglia. Odio trovarmi nelle zone di guerra. Però sento anche il bisogno… il bisogno di vederle con i miei occhi.”