Sul numero precedente abbiamo parlato dei tanti “non posso” che abitano i nostri pensieri e modellano le nostre azioni. Abbiamo anche individuato uno dei “perché” che li affianca e li giustifica: “perché non ho tempo”. Un altro frequente“perché” è: “perché non ce la faccio”.
“Perché non ce la faccio” è un’altra giustificazione che usiamo con noi stessi. È pensare di non essere all’altezza a fare una cosa, perché non riconosciamo il nostro valore o pensiamo di non meritarci quella determinata cosa. La consapevolezza è l’unico esercizio che ci permette di distruggere i filtri che nel corso del tempo hanno distorto la visione delle cose e di noi stessi. I filtri della famiglia, degli amici, degli insegnanti, dei colleghi, della società. I filtri agevolano proprio gli automatismi mentali, i pregiudizi che danneggiano per primi noi stessi: i nostri pensieri, le nostre decisioni e, infine, le azioni che facciamo o non facciamo. Dobbiamo, quindi, ripartire da noi stessi. Per capire noi stessi e il nostro valore è utile leggere libri che aiutino a migliorare la propria autostima o attraverso un percorso di coaching guidato come “Costruisci la tua felicità in tre atti” (Simona Colaiuda, Ed.Aloha, 2017).
Qui voglio regalarvi un piccolo espediente: quando pensiamo di non riuscire a fare una cosa, perché pensiamo di non farcela, ad esempio: “Non posso accettare quel lavoro perché non sono all’altezza del compito”, proviamo a pensare di non farlo per noi, ma per gli altri, ad esempio legittimiamoci ad accettare quel lavoro pensando di farlo per qualcun altro oppure per esprimere al mondo il nostro personale contributo, attuare in concreto i nostri valori e il nostro personale modo di vedere il mondo.
Legittimiamoci cioè a esprimere la nostra unicità e a lasciare il nostro personale messaggio, con l’obiettivo di contribuire a creare il mondo che vorremmo.
Riproduzione riservata © Articolo pubblicato su Pink Magazine Italia Autunno-Inverno 2018